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Alberi… Salix spp.

Alberi… i SALICI sono l’argento delle nostre colline, lungo fossi e campi, anche in pieno sole (in Carpegna per esempio crescono rigogliosi), segnano sempre la presenza di acqua, anche quando non è visibile in superficie. Di piccola statura, corteccia rugosa negli alberi adulti e liscissima nei giovani rami. Fgolie lanceolate argentee che restano così anche secche. Gli amenti, i fiori, attirano le api e illuminano discretamente di bianco e di giallo limone la natura dopo l’inverno. Sono morbidi al tatto e da bambini li chiamavamo gatttini. In erboristeria si raccolgono foglie, gemme e corteccia per le proprietà analgesiche, antiinfiammatorie, astringenti (Salix alba L.). L’albero dona all’uomo tutte le sue parti. Le radici erminali rosse fuoco, immerse nell’acqua, venivano messe a bagno nelle fontane per tenere pulita l’acqua e libera da muschi ed alghe.

La salicina è un glucosde e venne sintetizzato (aspirina). In fitoterapia si usa la tintura madre o l’estratto secco di Salix alba che non causano disturbi allo stomaco come il farmaco chimico e sono di sicura efficacia nell’influenza, contro spasmi metruali, nella dissenteria e per alleviare l’emicrania. Il salice è un rimedio flessibile, come la pianta, e ognuno può trovare beneficio laddove è debole di costituzione.

Con i rami si intrecciano cesti e si legano le viti (Salix viminalis). Pianta tintoria (la tintura mi da un rosso rubino) ed essenza per un “fiore di Bach”: Willow, Weide, elastica, perdona chi la ferisce, rinasce con giovani virgulti e annuncia la primavera, prima di molti fiori.

Salix

Atropa belladonna L.

Atropa belladonna flores

Nelle piante prive di tossicità il corpo astrale circonda la pianta, nelle specie velenose il corpo astrale pervade l’intera pianta.

Atropa Belladonna, in inglese “Deadly Nightshade”, è una delle piante medicinali e velenose più famose della famiglia delle solanacee. Il nome deriva da “Atropos”, una delle tre parche, le divinità greche del destino, che recide il filo della vita. Si chiama “belladonna”, perché per secoli donne e uomini ne hanno adoperato il succo per dilatare le pupille e donare lucentezza agli occhi, non senza correre rischi! La belladonna è parente stretta di piante ortive come il pomodoro, la melanzana, la patata, anche del tabacco e di piante medicinali come la dulcamara e lo stramonio. La troviamo spontanea sopra i 700 metri, nel sottobosco, nei boschi radi, dove è stata tagliata la legna di recente. Ama la penombra e i terreni calcarei ma cresce bene anche nelle Alpi granitiche. Forma uno stelo centrale turgido, ricoperto di macchie rossastre da cui partono, a 45 gradi, i rami laterali, fino a formare una sorta di imbuto. Le foglie sono ovali e leggermente appuntite, dai bordi affilati e di un verde opaco che tende al blu. Sono molto lisce al tatto e diffondono un odore acre che ricorda la pianta di pomodoro e le patate crude. Nella sfera vegetativa, nello stelo e nelle foglie, la pianta si permea di acqua, di succhi, è piena di vita.
Sotto le foglie, nelle ascelle fogliari, spuntano i fiori a campanula. Le corolle hanno un bell’aspetto, sono gialle alla base e viola scure verso i bordi, con grossi calici verdi che contornano anche i frutti, come una stella a cinque punte. I fiori, aprendosi, si girano verso il basso, verso il suolo, come se assorbissero le forze dell’ombra. Nei fiori e poi nei frutti, la belladonna manifesta un’attrazione verso il mondo delle tenebre, e diventa di una bellezza ambigua e pericolosa. Non forma sostanze profumate (prova del fatto che veleni e oli essenziali sono sostanze contrapposte).
Le bacche scure e lucide appaiono invitanti, succose, si formano alla fine dell’estate proprio quando sono mature anche more e mirtilli, ma in verità sono molto tossiche e non debbono essere raccolte per nessun motivo! L’intera pianta è ricca di alcaloidi: iosciamina, atropina, scopolamina, belladonnina, e altri ancora. Gli alcaloidi contenuti nella pianta vengono facilmente assorbiti dalla pelle, e quindi è meglio non sfregare le foglie o toccare troppo i fiori, quando la troviamo nel bosco. Era una degli ingredienti della cosiddetta “pomata per volare” utilizzate dalle streghe nella notte di Santa Valpurga (30 aprile), per avvicinarsi al mondo astrale e avere visioni.
I sintomi da avvelenamento sono: disturbi respiratori fino alla paralisi respiratoria, forte nausea, secchezza delle fauci, disturbi cardiaci, allucinazioni e midriasi (dilatazione delle pupille). 2-3 bacche possono essere letali per un bambino piccolo, nel dubbio si consiglia quindi di chiamare subito il medico.
Oltre agli alcaloidi la belladonna contiene anche flavonoidi, una sostanza fluorescente, minerali tra cui silicio, magnesio e rame, e infine delle cumarine. La presenza degli alcaloidi indica che la pianta “si allontana dalla sua natura vegetale” (W. Pelikan) e dalla connessione tra forze fisiche e vitali-eteriche. La belladonna forma invece sostanze che respingono la vita (i veleni). Allo stesso tempo, si avvicina alla sfera astrale. In quantità ponderale, tutti gli organi vegetali della belladonna sono velenosi. Estratti di radice sono addirittura doppiamente velenosi rispetto a foglie e fiori. La preparazione omeopatica “Belladonna” in diverse diluizioni è uno dei rimedi più conosciuti; viene ricavato dalla tintura madre dell’intera pianta. E’ utilizzato soprattutto contro infiammazioni, stati febbrili, crampi e coliche addominali, stati ansiosi, ogni volta che si forma troppo calore nell’organismo, con arrossamenti, spasmi e vampate.
Nella medicina antroposofica si considera l’immagine essenziale di Atropa belladonna, che si esprime nel singolare rapporto tra luce e ombra della pianta, la grande vitalità di tutti gli organi e l’inclinazione ad agire come veleno sulla sfera sensoriale (nervi). Viene impiegata nelle affezioni oculari, contro spasmi nella sfera metabolica, in situazione emotive difficili con ansia e tensione. In questo senso la belladonna, un’abitante affascinante e misteriosa dei nostri boschi, aiuta l’uomo a diventare nuovamente “morbido”, a sciogliere i suoi indurimenti.

Atropa belladonna fructus

ACQUA madre

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Trovare in agosto, dopo due mesi quasi senza pioggia, superfici fogliari così grandi, verdi e pieni di vita è un regalo, sembra una fiaba, un popolo di Petasites officinalis che racconta dell’acqua sotto terra, dell’acqua appena sopra, della rugiada, della leggera nebbia che si alza all’alba come un’espirazione.
La petasite (in tedesco radice della peste, Pestwurz) è stata usata per secoli come antidoto alle epidemie di peste e malattie contagiose Ottima pianta depurativa, aiuta nei casi di asma allergico e di emicrania cronica. Il contenuto di acidi pirrolizidinici la rende poco sicura perchè potenzialmente epatotossica, tuttavia esistono estratti liberi da alcoloidi; bella pianta della tradizione erboristica europea, nell’omepatia antroposofica è abbinata a piante sinergiche.

Dal bosco per giardino e cuscini profumati: Tommasinia verticillaris (L.) Bertol.

Peucedanum verticillare o Imperatoria di Tommasini, Apiaceae. Nome popolare “tommasinia”, in inglese “giant hog fennel”.
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Bella pianta da coltivare in giardino (terreno fresco, ricco di humus, ama il sole) per la forma slanciata del fusto e il portamento dei fiori ad ombrella. Pascolo per api e farfalle, fiorisce al secondo anno, è biennale o pluriennale di breve durata.
Cresce ai margini del bosco, lungo prati umidi e fossi. Non teme il sole pieno e resiste al clima mediterraneo in estate. Colpiscono le guaine striate da cui si formano le foglie, che sono profumate, dal sapore aromatico. Tuttavia sconsigliamo l’uso interno, la pianta non è ben conosciuta a livello farmacologico; le furocumarine contenute soprattutto nei semi possono essere irritanti per la pelle e sono pericolose per il fegato. Secondo studi americani, i componenti dell’olio essenziale della tomassinia sembrano interessanti, da approfondire. Nell’erboristeria tradizionale mediterranea, la radice è usata come l’Angelica sylvestris o il Peucedanum ostruthium, per l’azione digestiva, carminativae e tonica.
A fine estate essicco le foglie e le mescolo a fiori di lavanda, piccoli rami di finocchio selvatica, foglie di melissa romaana e calaminta. Con questa miscela imbottisco piccoli cuscini, da applicare sulla nuca e sulla fronte in caso di emicrania e nausea.
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Camminare lento

ph. karin mecozzi

ph. karin mecozzi

In mezzo al turbinio dell’estate, nelle lunghe giornate assolate capita che ci sentiamo poco presenti, come sognanti. L’estate porterebbe con sé il fatto di essere meno attivi del solito, invece dobbiamo lavorare come in tutti gli altri mesi dell’anno. Allora, invece di vivere più lentamente e assaporare il calore e la luce estiva, ci troviamo a svolgere i nostri impegni con la sensazione di non avere il giusto ritmo, la stabilità necessaria. Specialmente chi soffre di pressione bassa per il caldo, chi non riesce a dormire bene, nei periodi in cui gli stimoli sensoriali sono eccessivi – troppo sole, caldo, sudore – può eseguire un breve rituale che aiuta a ritrovare se stessi nel proprio corpo. Si cammina senza fretta per pochi minuti, lasciando fluire l’attenzione, e passando dalla percezione del proprio movimento a ciò che si incontra fuori, per poi tornare ai propri passi.
Camminando consapevolmente, anche solo per pochi minuti, si può ritrovare un gradevole senso di equilibrio interiore: il respiro diventa più calmo, il battito cardiaco più regolare. E’ importante dedicarsi a questo esercizio possibilmente ogni volta alla stessa ora, senza forzarsi nel percepire o analizzare alcunché.

La contemplazione della natura in cammino come pratica quotidiana, anche dell’albero dietro casa o di un’aiuola nel parco, offre degli attimi di calma e di stabilità interiore, in cui l’ascolto del proprio movimento si fonde con l’evolversi della stagione estiva.

“Il Camminare lento”

Nei giorni più caldi alzati molto presto, bevi un infuso o un bicchiere di acqua e limone ed esci di casa. Cammina con calma per qualche minuto permettendo alle membra di muoversi con naturalezza, seguendo il respiro. Passo dopo passo, assapora l’odore dell’aria, osserva ciò che incontri con un atteggiamento rilassato, privo di giudizi: una lucertola, un papavero, la campagna assolata. Assorbi l’atmosfera e concediti la visione dell’insieme del luogo in cui abiti. Sotto il sole estivo, il paesaggio cambia qualità quasi impercettibilmente, accompagnandoti nella tua vita quotidiana.
Esegui, se vuoi, la breve camminata anche al tramonto, per pochi attimi, nello stesso posto. Proverai un senso di pace al contatto con te stesso, con la stagione, con il luogo che muta di giorno in giorno.

„Achtsames Gehen“

Stehe eine Viertelstunde früher auf als sonst, trinke ein Glas Wasser mit Zitronensaft und gehe hinaus in den Garten oder auf die Straße. Atme die Luft ein, nimm wahr, wie der Tag sich seinen Weg bahnt, das Sonnenlicht alle Dinge beleuchtet, wie sich die Wärme oder der Tau anfühlen. Geh ein paar Schritte und konzentriere dich dabei auf deine Bewegungen. Spürst du den Impuls, schneller zu gehen, zu laufen oder gehst du lieber langsam? Suche dir einen Rhythmus aus und behalte ihn ungefähr 5 Minuten lang bei, achte weiterhin auf deine Schritte, auf den Boden, die Straße. Höre auf die Geräusche der Umgebung, schau dir den Himmel an. Halte an und lausche auf dein Herz, deine Atmung, werde dir deiner Haltung bewusst. Sei gegenwärtig. Du kannst weitergehen oder die Übung nach wenigen Minuten abschließen, am besten aber übst du jeden Tag gleich lange. In unruhigen Zeiten kannst du die Übung auch bei Sonnenuntergang wiederholen, sie wird dich erden, die Verbindung zu dir selbst stärken und zur Natur im Jahreslauf.

Paesaggio e atmosfere – come le osserviamo?

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Cosa intendiamo per “paesaggio”
Vivendo nei pressi di Urbino* mi capita spesso di notare dei visitatori che, indicando l’incantevole vista dal Palazzo Ducale, esclamano: “Guardate che bel paesaggio… !”. In Italia, il paesaggio è spesso sinonimo di panorami suggestivi con vedute su colline e romantici borghi, ed anche di quel territorio di cui si debbono occupare Stato ed enti. Invece, il paesaggio in senso lato è molto più di un bel panorama, e tutti noi siamo partecipi della sua salute ed evoluzione!

* Nota: Nelle Marche, più specificamente nella provincia di Pesaro e Urbino, la cittadina rinascimentale di Urbino conserva uno dei più bei centri storici d’Italia. Edificato in gran parte sotto i duchi di Montefeltro, il centro di Urbino comprende una cattedrale e diverse chiese ed oratori, il ghetto con la sinagoga, una fortezza ed innumerevoli vicoli e scorci che considero imperdibili! Grazie al sostegno della Unesco che ha dichiarato Urbino patrimonio dell’umanità, la città mostra al visitatori come si possa costruire in sintonia con il genius loci: dai colli in pieno centro si ammirano valli e colline, fiumi e piccoli centri abitati che accompagnano lo sguardo verso la Toscana e l’Umbria, in un susseguirsi di sfumature azzurre e verdi.

Per entrare in un dialogo vero con il paesaggio che ci circonda, con il paesaggio esteriore, consideriamone anche le qualità interiori, rivolgiamoci cioè anche al paesaggio che nello stesso tempo vive dentro di noi. Solitamente la nostra immagine interiore di paesaggio affiora, quando un luogo ci tocca particolarmente, quando ci stimola a riflettere o ricordare, oppure ci chiama ad intervenire. L’aspetto interiore del paesaggio è l’incontro tra l’impressione che riceviamo dall’esterno e ciò che avviene nella nostra interiorità: pensieri e giudizi, sensazioni ed emozioni, impulsi ad agire e desiderio di comunicare con gli altri…, ma è costituito anche dai nostri ricordi, quando richiamiamo alla memoria delle immagini dei luoghi della nostra vita e le confrontiamo con quel che ci circonda.
Nel nostro percorso entrambe le qualità del paesaggio, quella esteriore e quella interiore, si incontrano in noi grazie ad una percezione del “vivente”*, che si orienta ai dettagli e all’insieme avvalendosi di strumenti fenomenologici ed artistici. Ne scaturiscono aspetti nuovi che danno valore al paesaggio e alle piante, ma anche a noi stessi che li sperimentiamo in maniera così responsabile e diretta.

“In accordo con la Convenzione Europea sul paesaggio del Consiglio d’Europa possiamo definire il paesaggio un insieme in cui gli aspetti naturali e culturali di un territorio confluiscono in un’atmosfera caratteristica. L’identità dei paesaggi si manifesta nel momento in cui si considera la loro storia come una biografia fortemente legata alla vita degli uomini che vi abitano. Il paesaggio è la natura così come è percepita dall’uomo attraverso i sensi. Ciò che l’uomo pensa di un paesaggio, influisce sulla maniera in cui lo percepisce e lo plasma.
Il grado di sviluppo in cui si trova un paesaggio esprime il livello di consapevolezza degli uomini. Il paesaggio è un “processo” in divenire, un dialogo tra uomo e natura. Nella loro eterogeneità, i paesaggi europei esprimono le diverse condizioni naturali ma anche il rapporto tra uomo e natura. Il paesaggio comprende ambienti naturali, fiumi, laghi, foreste e parchi, ma anche zone destinate all’agricoltura, alla silvicoltura, all’orticoltura. Fanno parte del paesaggio le reti stradali, le aree abitate e le città, le zone industriali e artigianali.
I paesaggi europei stanno subendo delle trasformazioni evidenti che oggi costituiscono una sfida per la coscienza dell’uomo e il suo senso di responsabilità. Lo stile di vita dell’uomo moderno si è emancipato dall’unione innata che lo legava alla natura in passato. L’urbanizzazione aumenta e continua la fuga dalle campagne; i villaggi sono in abbandono, le strutture in degrado, trascurate. Nelle zone rurali nascono cosiddette “aree protette” e “riserve”, dalle quali, tuttavia, l’uomo viene allontanato. (…) Le esigenze del paesaggio non vengono più rispettate, e in molti casi il rapporto tra uomo ed ambiente non è in equilibrio. Come risposta a queste tendenze, in molti ambiti sociali nasce l’esigenza dello sviluppo sostenibile, che si impegna nella gestione rispettosa dei paesaggi tipici regionali e di una vera e propria cultura del paesaggio, attraverso la quale il rapporto dei cittadini con il proprio paesaggio possa evolversi in senso costruttivo. (…)
Il futuro della Terra si basa sull’accordo e sulla fiducia reciproca tra uomo e natura, e l’uomo ha bisogno di nuove capacità percettive per conoscere le connessioni che caratterizzano il suo rapporto con essa. Sempre più dovrà imparare ad essere partecipe dei processi naturali, sostenendoli nella loro evoluzione e nella loro interezza.

Tratto dalla carta costituzionale della
Accademia Europea per la cultura del paesaggio PETRARCA

Luglio a Fonte Avellana

Partiamo presto da casa, strade quasi vuote, il passo dei “Fangacci” tra Urbania e Acqualagna e poi in direzione sud, sulla Flaminia. A Cagli giriamo a sinistra seguendo l’indicazione gialla “Eremo di Fonte Avellana” e arriviamo in poco tempo salendo lungo i tornanti dietro a Frontone, Serpeggiano nel verde, sul lato sud la macchia mediterranea con ornielli e ginestre ancora in fiore, di fronte il lato nord-est del Monte Catria. Dice Franco Barbadoro “Vertebre di una dorsale che l’esiguità di una pelle rivestita di boschi e pascoli a stento nasconde, anzi, spesso lacerata, ne lascia affiorare il nudo osso di roccia. Strati calcarei innalzati per centinaia di metri: fratturati, piegati ed erosi in tante forme. Un libro aperto su una storia naturale vecchia fino a 200 milioni di anni. Il suo vestito di alberi ed erbe, rifugio di piante e animali rari, fa del Catria e dei suoi monti un arcipelago verde: isole lussureggianti e solitarie che emergono dal mare circostante, fatto di colline e valli coltivate e urbanizzate.” (www.catria.net)
I prati delle montagne ancora verdi, il cielo azzurro, la luce leggermente bianca da pieno luglio, un falco che si aggira sopra il monastero: a volte penso che in quel luogo c’è tutto di cui ho bisogno, solo uno specchio d’acqua in cui immergermi manca. Eppure abbiamo sentito il mare – nalla brezza che giunge dall’Adriatico, lo osserviamo nel calcare pieno di fossili e nella vegetazione, che ora sprigiona essenze aromatiche intense.
Provate a farci caso: sotto il caldo ogni cosa rilascia il suo profumo, rivelandone un lato nuovo. IL legno degli arbusti mediterranei, le graminacee ingiallite, le ginestre tagliate, fragranze, profumi o anche odori penetranti e poco graditi in piante dai fiori graziosi come la betonica o la scrofularia.
Quali odori vi porta luglio, quali nuove esperienze e “informazioni” su piante e paesaggio? Una buona settimana!P1010589