Categoria: Materia medica – Healing plants

Materia medica – le piante medicinali in erboristeria, in cucina e in cosmesi, per il benessere nel ritmo delle stagioni
Healing plants in herbalism, nutrition and cosmetics, for our well-being following the rhythm of the year.

La vite (Vitis vinifera), una delle piante sacre dell’autunno

Come tutte le piante, la specie Vitis ha attraversato molti stadi evolutivi accompagnando fedelmente l’uomo e i suoi modi di vivere nella storia. La vite europea (Vitis vinifera) della famiglia delle Rosaceae giunge nell’area del Mediterraneo sulla via della seta e con i commercianti fenici. La vinificazione, la fermentazione del succo di uva, in antichità non era compito dei contadini ma di persone propriamente incaricate al servizio dei sacerdoti. Il vino serviva al culto: conosciamo le festività del dio Dioniso/Bacco, in cui il vino portava gli uomini a stati di estasi allentando le connessioni dei corpi.

File:Illustration Vitis vinifera0.jpg
Vitis vinifera è coltivata in tutto il mondo; si innestano le varietà su porta-innesti. In Italia, dal novecento, provengono dalla vite americana su cui si innestano varietà selezioniate, vinifere. Questo tipo di moltiplicazione causa gravi problemi e abbassa la vitalità delle piante di vite: il viticoltore oggi è alle prese con malattie virali e fungine, che stanno mettendo in ginocchio grandi zone di produzione. Anche in questo caso, l’agricoltura biodinamica e i suoi strumenti influiscono positivamente sulla vitalità del terreno e delle piante, migliorando allo stesso tempo le qualità gustative e aromatiche dei prodotti finali: del vino e del succo o dell’uva da tavola, ma anche delle foglie e delle gemme che si usano in erboristeria.

La vite come pianta alimentare, cosmetica e medicinale

Vitis vinifera si risveglia con un segno particolare, le “lacrime dell’uva”. E’ un liquido trasparente, vischioso e dolcissimo che indica che la pianta ha ripreso il periodo vegetativo. Per gli antichi era una sostanza altamente curativa e preziosa, la “Lacryma vitis”. Plinio Secondo (23-79 d.C.) la consiglia come rimedio per le malattie della pelle. Santa Ildegarda (1098 – 1179 d.C.) chiama quest’essenza “l’acqua più preziosa della terra” e la nomina nella cura dei disturbi agli occhi ma anche dell’udito e nel mal di testa.   

La vite ha fiori poco appariscenti ma molto profumati che attirano il mondo degli insetti e gli impollinatori, indispensabili per la legatura e la formazione dei frutti, gli acini, in botanica bacche. Il frutto della vite, l’uva, è un potente remineralizzante (potassio e magnesio), contiene zuccheri nobili, flavonoidi (antociani), vitamine A, gruppo B, C. Il succo, oltre ad essere un’ottima bevanda, ha qualità curative nella spossatezza, nell’anemia e come regolatore della pressione sanguigna, inoltre in convalescenza. E’ un blando antiinfiammatorio nelle cistiti. Non è adatto a chi soffre di colite perché soprattutto la buccia degli acini può essere irritante. Il succo applicato esternamente è un disinfettante “pronto per l’uso” in campagna per piccole ferite e abrasioni. Mescolato con la ricotta e la farina d’avena dona lucentezza alla pelle del viso. L’uva essiccata – l’uva passa o sultanina – conserva un’importante parte delle proprietà nutritive ed è perfetta se combinata con noci, nocciole o mandorle.
Dai semi d’uva si spreme l’olio di vinacciolo, che ha un ottimo sapore ed è ricco di polifenoli e acidi grassi polinsaturi. E’ indicato come alimento quotidiano, soprattutto a crudo, come l’olio di oliva, soprattutto se sussistono disturbi alla pelle (eczema, acne).
Dai fiori di vite il Dr. Edward Bach otteneva un preparato per aiutare le persone dispotiche, troppo ambiziose e autoritarie e, in fondo, nevrotiche, e che disprezzano gli altri. Anche la gemmoterapia si avvale delle gemme florali e fogliari, mentre l’erboristeria europea utilizza le foglie per impacchi, per decongestionare gli organi interni. La medicina antroposofica si avvale della vite (foglie) come rimedio per sostenere il fegato. “Hepatodoron”, il rimedio, fu studiato da Rudolf Steiner nel secolo scorso. Combina l’azione della vite con quella della fragola selvatica, entrambe rosacee, piante legate a Mercurio/Giove e a Sole/Luna.

Come anche il frumento, la vite ha una valenza simbolica forte, profonda. Come espressione di salute, fertilità, abbondanza – del “buon vivere” – la vite è riportata su monete, gioielli, dipinti e stemmi di città e casati. Nell’immaginario, la vite è legata al sangue, all’idea di stirpe, di genealogia.

In conclusione, per il periodo che segue l’equinozio d’autunno ti invito a contemplare l’immagine di tre piante che accompagnano l’uomo da sempre: una spiga di grano o di farro, un vitigno e l’albero dell’olivo. Tre piante della cultura mediterranea, legate alla sfera solare, che caratterizzano la cultura dei nostri paesaggi e meritano profondo rispetto.

Piante medicinali nel ritmo delle stagioni: appunti sulla piantaggine (Plantago spp.)

Plantago lanceolata

Con le sue foglie nervate e lanceolate e le pannocchie di fiori ascendenti, è relativamente facile da identificare dal punto di vista botanico. La confusione con altre specie vegetali o addirittura con erbe velenose è piuttosto improbabile. La piantaggine appartiene alla famiglia delle Plantaginaceae. Forma una radice centrale e rizomi avventizi con cui popola su terreni difficili, compattati e calpestati. È una pianta perenne con foglie lanceolate, nervate e a margine intero. Le corolle tubolari sui lunghi steli hanno stami lunghi con antere bianche e profumate, i fiori sono ricercati da api e insetti.

Plantago lanceolata con apparato radicale Schwaebisch Gmuend 2014 (web)

Comunemente è definita a volte una “erba infestante”, invece, dal punto di vista ecologico, è una cosiddetta “pianta indicatrice“: dove cresce molta piantaggine, il suolo è troppo compatto. In agricoltura sappiamo che è fondamentale che il suolo dei campi rimanga sciolto e ben aerato. I terreni in Centro Italia sono spesso ricchi di argilla e tendono a compattarsi, e la piantaggine lo mostra con le sue abbondanti popolazioni. Raccolgo fasci grandi a maggio – su campi che non hanno mai visto sostanze chimiche, si intende. Le trasformo in molteplici preparazioni, oleoliti, tinture, tisane, ossimele, pomate e unguenti, e ogni anno è un vero diletto.

Tutte le parti della piantaggine possono essere utilizzate, non solo per scopi erboristici e officinali, ma anche in alimentazione, crude o cotte. Il succo della pianta è ricco di clorofilla e di colore verde scuro quando viene spremuto. E’ un ottimo tonico in primavera e in estate per l’anemia, la debolezza polmonare e la stanchezza.

Succo di piantaggine: bevanda mattutina ricca di provitamina A e acidi grassi insaturi, rafforza il nostro metabolismo, la vista e il sistema immunitario

Ottieni il succo della pianta appena raccolta, di mattina, aggiungi rapidamente qualche goccia di succo di limone per evitare che si ossidi . Aggiungi poco olio di oliva extravergine, un pizzico di sale alle erbe e un cucchiaino di semi di lino dorati polverizzati.

Nella storia dell’erboristeria, le specie di piantaggine hanno una lunga tradizione come piante medicinali. A sud e a nord della dorsale principale delle Alpi, la piantaggine lanceolata e le piantaggini a foglia larga (Plantago media, P. ovata) venivano raccolte e lavorate fin dall’antichità. Erano ben note per gli effetti emostatici, cicatrizzanti, rinforzanti dell’intestino e dei polmoni, ed erano considerate piante magiche e oracolari e le troviamo raffigurate su affreschi e nei primi libri di medicina erboristica.

A partire dal Seicento, la piantaggine si diffonde in tutto l’emisfero settentrionale. Gli indiani nativi americani la chiamavano “impronta dell’uomo bianco“, insieme ad altre specie della stessa famiglia: Plantago media, Plantago ovata, Plantago afra, Plantago serraria, Plantago sempervirens e altre. Essendo un buon antisettico, la piantaggine era apprezzata per disinfettare ferite e abrasioni, trattare punture di insetti e contusioni.

Il fitocomplesso delle foglie è costituito da polisaccaridi, saponine, sali minerali, acidi organici, acido salicilico, flavonoidi, il glicoside aucubina e vitamine A, K e C. Iniziamo dal suo uso alimentare: le foglie finemente tritate aggiunte agli alimenti sostengono l’intero organismo, hanno un effetto antinfiammatorio e migliorano l’aspetto della pelle. L’infuso, la tintura madre, l’estratto secco, preparazioni tipiche della fitoterapia, in sinergia con Ribes nigrum ed Helichrysum italicum, prevengono efficacemente i disturbi causati dalle allergie.

I Greci chiamavano la piantaggine “Hepta pleuros”, sette costole, per via delle nervature delle foglie e della relazione con gli organi del torace, il sistema ritmico. La piantaggine è stata utilizzata fin dall’antichità per le infiammazioni delle vie respiratorie, della cavità orale e delle corde vocali. Nella fitoterapia tradizionale si prepara uno sciroppo a base di foglie fresche e miele o zucchero di canna integrale, che viene assunto in primavera e in autunno per la prevenzione ed è adatto anche ai bambini.

Le foglie di piantaggine sono un ingrediente di miscele di tisane ed estratti depurativi. Assorbe i veleni”, dicevano gli antichi che applicavano la pianta verde alle punture di scorpione. Oggi si sa che la piantaggine favorisce gli organi di eliminazione, in particolare il fegato e la cistifellea, la milza e lo stomaco. Il decotto della parte della pianta raccolta in aprile è indicato per l’influenza intestinale con nausea e diarrea (più volte al giorno a cucchiaini), mentre l’infuso ha un leggero effetto diuretico e fa bene agli anziani.

Rudolf Steiner parla di un “effetto delicato del manganese“, un metallo raro nel mondo delle piante medicinali. Ciò rende la piantaggine un valido aiuto per l’assimilazione del ferro. È un’erba amica delle donne che soffrono di anemia, debolezza e mestruazioni eccessive. Allo stesso modo, rafforza i bambini deboli alla fine dell’anno scolastico, gli studenti che devono sostenere esami e, in generale, quando il carico di lavoro è elevato ed è necessaria la capacità di recupero.

Anniversario …fiorito, con Helichrysum italicum

1992-2022
Trent’anni di raccolte spontanee di elicriso. Nel 1996 scrissi la relazione finale su questa Asteracea dai capolini colore zolfo per il diploma di erborista a Urbino. Non ho quasi mai saltato di raccogliere, sufficiente per oleolito, un po’ di essiccato, tintura madre….per uso famigliare, poi su richiesta, perché è una pianta medicinale potente. Poi le distillazioni, lo stupore quando vedi quella pellicola giallina sopra l’idrolato. Emozione pura!

Quest’anno nuove ricette per estratti, sempre dalla tradizione delle Semplici. Vi va di seguire con me questa avventura?

Il fiore dei popoli nomadi, delle transumanze. Migra, radica, esplode nei fiori tubulari tenendo stretta l’essenza.
Helichrysum italicum (Roth) G.Don
Immortelle

elicriso, fiori non maturi

A fascinating healing plant from the druidic tradition: Mistletoe (Viscum album L.)

Widespread throughout Europe and especially in France where it is still part of the official pharmacopoeia, the Viscum (Viscum album) is an evergreen shrub with a characteristic globular shape that grows as a semi-parasite on apple trees, maples, birches, elms, poplars, firs and, rarely, on oaks. Due to their stickiness, seeds scattered by birds and wind stick to the bark of host trees. They form small, strong rhizomes that penetrate the bark of the trees and extract the necessary nutrients. Germination cannot occur in the soil. Current botanical research is studying the interaction between mistletoe and the host plant. It appears that substances produced by the shrub positively affect the health of the host.

The central stem of mistletoe is lignified, and the branches remain green and elastic, forming a straight, concentric angular pattern. The leathery, oblong leaves face upward and outward. Flowering takes place in spring and it is not showy, fruits ripen between November and December and contain a single seed wrapped by whitish and sticky mucilage. Besides viscotoxins, the plant also contains acetylcholine, flavonoids and polysaccharides.

Mistletoe is one of the most mysterious and fascinating medicinal plants, pagan symbol of lightning. From Homer to Virgil, from Pliny to Celtic mythology and Druidic tradition, ancient legends and myths of heroes tell of its magical powers. Particularly beautiful is the myth of Baldur, immortal son of Odin and Freia. He was mortally pierced by a branch of mistletoe, the only plant that does not belong to the earthly plant world!

VISCUM ALBUM, fructi (web/m.peuckert)

In the constellation of Sagittarius, between Christmas and New Year’s Day, druids used to collect mistletoe to cure the ills of body and spirit. According to the Central European folk tradition, mistletoe sprigs were used to find water veins and hidden treasures, to protect houses and stables from evil presences.

We can therefore imagine that popular medicine in the past used mistletoe decoctions to cure a wide variety of ailments, from gout to epilepsy, from bubonic plague to ulcerous wounds. According to modern phytotherapy, mistletoe is one of the vagotonic agents and is indicated both in the treatment of arthritis, tendinitis, neuralgia and dermatitis, and for psychological disorders such as depression due to adaptation or fatigue. It has been shown that homeopathic dilutions of mistletoe help to better withstand the excess of stimuli to which we are exposed in the modern frenzy.

Please consider that Mistletoe extracts should be used internally only on the advice of an experienced phytotherapist, as the plant can be toxic in its various parts.

Great naturopaths of the past as Kneipp and Weidinger recommended maniluviums and foot baths infused with leaves and branches to complete the treatment of the circulatory system, to strengthen the heart.

In rheumatic diseases bathes with mistletoes extracts such as teas or fluid extracts and also salves are very helpful.  

Rudolf Steiner’s intuition about the antitumor and immunostimulating action of mistletoe is, as often, unprecedented. In the twenties of the last century, together with Ita Wegmann, he started the research, preparation and testing of new anthroposophical drugs based on mistletoe.

Those who wish to deepen their knowledge of the plant according to the criteria of anthroposophical research should consult the third volume of Wilhem Pelikan („Heilpflanzenkunde“ Verlag am Goetheanum, CH Dornach), which contains an accurate and complete description of its habitat. Striking aspects such as the so-called “anti-rhythmicity” (it bears fruit in winter), the extraordinary vegetative quality (it contains abundant chlorophyll in all plant parts) and the location (germination only on host trees). Research on mistletoe is in full swing in many European and foreign centers and clinics.

Karin Mecozzi HWB: Chapter “Central Apennines” San Severino Marche, Italy,

Published soon on HERBALISTS WITHOUT BORDERS / newsletter / -> www.hwbglobal.org

K. Mecozzi

Luminoso SALICE, albero medicinale dei paesaggi fluviali (Salix alba L.)

Poiché io farò scorrere acqua sulla steppa,

torrenti su un terreno arido.

Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,

la mia benedizione sui tuoi posteri,

cresceranno come erba in mezzo all’acqua,

come salici lungo acque correnti.

(Isaia 44,3-4)

Osservazione della pianta nel paesaggio

 Prima estate, le foreste, le siepi, i campi e i prati risplendono di verde. Nel fondovalle una lunga collana argentea accompagna il Potenza, fiume che nasce nell’Appennino umbro marchigiano. Laddove sorgevano grandi laghi, nel letto sassoso del fiume e lungo le sponde affondano le radici salici, pioppi e sambuchi. Tappeti di menta aquatica, salcerella, nasturzio e petasite formano foglie variopinte, aromatiche e fiori odorosi. Sul ciglio si innalzano candide angeliche selvatiche e fiori d’epilobio, dal bel rosa porpora.

Si muovono nel vento i rami del salice bianco (Salix alba L., famiglia delle Salicaceae), ben saldo nell’umida terra bruna. Porta acqua ricca di ossigeno verso l’alto, fino nei rami flessuosi dove incontra il sole primaverile e apre fiori profumati, offrendo polline e nettare come nutrimento prezioso al mondo degli insetti dopo un lungo inverno. Solo ora, a fiori aperti, nascono le foglie che ricordano piccole falci di luna argentate.

Salix alba L. in Appennino, ph. K. Mecozzi

In tutto il mondo il salice è consacrato a delle divinità, dal Sudamerica alla Scandinavia, dalla Grecia alla Mongolia. Nella mitologia classica troviamo il salice sacro a Demetra, madredea della terra feconda, e Persefone, triste regina dell’oltretomba. Madre e figlia, sono riunite nell’appassionante mito di Omero, in cui il respiro delle stagioni, l’avvicendarsi di luce e ombra è la cornice delle vicende degli dei dell’Antica Grecia.

Nei miti nordici, nei salici si venerano Birgitta, dea della luce, ma anche Morrigan, dea della morte. Con flauti di legno di salice i Celti davano voce agli spiriti dei defunti, e con le fronde legate a covoni, poi incendiati, allontanava l’oscurità dell’inverno e i suoi demoni.

Il salice segna dunque, nel paesaggio e nella sua simbologia, una soglia tra buio e luce, tra terra/acqua e luce/calore, tra fiumi e laghi e terra ferma. Ne parlano filastrocche e formule magiche invocate nei riti delle civiltà indoeuropee e precedenti[1]. Interessante è l’uso delle foglie e degli amenti per contenere la libido, troviamo ricette di decotti nei testi dei medici erboristi fino ad arrivare al nostro Mattioli. Salix diventa una pianta sacra alla Vergine Maria, e viene piantato nei giardini monastici.

L’albero in botanica

Salix alba, albero caducifoglio della famiglia delle Salicaceae, a crescita rapida, sovente pollonifero, raggiunge 25 m di altezza. La corteccia è grigia e liscia, poi reticolata, i rami flessuosi e le foglie alterne, lanceolate, seghettate, portano minuscole ghiandole nettarifere sui margini. La parte superiore della foglia è verdi lucida e glabra, l’inferiore bianca e tomentosa.

La pianta è dioica, forma fiori maschili, lunghi e profumati amenti gialli, e fiori femminili più esili e verdi. L’impollinazione avviene attraverso il vento e gli insetti bottinatori, tra cui l’ape selvatica, l’ape domestica e il bombo. Dai frutti maturano semi cotonosi, muniti di pappi.

Sponde, alvei fluviali, boschi umidi, aree lacustri sono gli habitat d’elezione delle diverse specie di salice (30 spontanee in Italia). Coltivati tradizionalmente per il legno e i rami con cui si legano le viti e si intrecciano cesti e staccionate – i Celti costruivano le pareti delle capanne con rami e fronde e terra e argilla – i salici si possono riprodurre facilmente piantando direttamente in terra dei giovani rami. Il legno è un buon combustibile, viene usato per la cellulosa e la fabbricazione di imballaggi e utensili. Dalla corteccia si ottiene una concia per le pelli e un colorante giallo per tingere tessuti.

Ambiente fluviale, alberi tra acqua e luce. Fiume Metauro (PU), ph. Karin Mecozzi

“ Ubi morbus ibi rimedium” – Salix alba nella cura dell’uomo

Il salice da l’immagine di una pianta “con i piedi perennemente in ammollo”, cresce rigoglioso, con i suoi rami flessibili e leggeri, le foglie argentate e i fiori bianchi e dorati. Il rapporto dell’albero con acqua, terra, aria e luce, ben noto alla medicina tradizionale, lo rende un rimedio che raffredda e lenisce, contiene e concentra, mette in moto i fluidi, sudore, urina, sangue. L’estratto di corteccia, dal decotto alla soluzione idroalcolica, è indicato innanzitutto come ottimo febbrifugo, antidolorifico e antireumatico. Trova impiego nell’influenza stagionale, nel raffreddore, nelle cefalee di vario genere, nei dolori muscolari e articolari, anche esternamente come frizioni e bagni nella fibromialgia.

La droga in erboristeria è costituita dalla corteccia dei giovani rami (Salici cortex), dagli amenti maschili, dalle foglie fresche ed essiccate, dalla linfa. Le principali sostanze contenute, prevalentemente nella corteccia, sono: glicoside salicilico (salicina), acido salicilico, acido caffeico, flavonoidi, tannini, gomme, cere, resine.

Per applicazioni esterne possiamo raccogliere foglie di salice da aprile a settembre, per tisane e decotti la corteccia in primavera. Il carbone del legno di salice è un ottimo disinfettante assorbente, usato tradizionalmente in veterinaria, nelle intossicazioni e nelle diarree.  Può essere aggiunto al dentifricio, non è abrasivo.

Nelle malattie invernali, il salice è di grande aiuto per le proprietà sudorifere, diuretiche, tonificanti e rilassanti. L’estratto viene inserito tradizionalmente nei composti per curare stati d’animo di tensione, ansia, angoscia, che caratterizzano anche i disturbi stagionali e riguardano la sfera del ritmo e neuro-sensoriale.

Può risultare irritante per le mucose dello stomaco, tuttavia, se assunto in grandi quantità. Ciò avviene in misura molto minore del prodotto di sintesi, l’acido acetilsalicilico, noto anche come aspirina.

Nel nostro organismo la salicina del salice si trasforma in saligenina e in acido salicilico e può causare reazioni allergiche a chi è predisposto. Particolare attenzione deve essere presa anche da chi soffre di ulcera gastrica e sindrome di Gilbert. In dosi contenute gli estratti di Salix alba sono generalmente ben tollerati. Interessante è che non fluidificano il sangue[2] come l’acido acetilsalicilico e possono essere usati anche dopo operazioni e in terapia anticoagulante (solo sotto stretto controllo medico!).

Il salice è una potente pianta medicinale e come rimedio va sempre preparato, dosato e consigliato da un esperto erborista, farmacista e medico esperto in fitoterapia. La corteccia sfusa, meglio intera piuttosto che in polvere, acquistata in commercio non deve superare due anni dal raccolto.

In “Piante medicinali” Wilhelm Pelikan[3] ci dona un’immagine meravigliosa dell’albero in eterna tensione tra morte e vita, tra l’oscurità della terra e l’umidità dell’acqua in cui ama vivere e il fuoco. Il calore, il fuoco si manifestano nella profumata e precoce fioritura dei salici in generale, nelle ghiandole nettarifere collocate sulle foglie (!) e nel rapporto con il mondo di api e insetti.

Nel rimedio “Digestodoron” la farmacopea antroposofica offre una soluzione benefica (anche in compresse) che sostiene i processi digestivi nel loro ritmo, tonificando stomaco e intestino. Può accompagnare la terapia nelle malattie croniche del sistema motorio, del fegato e del sangue.

Tisana di salice bianco:

Alcune indicazioni*: raffreddore e febbre, cefalea da cambio di stagione, nella sindrome premestruale, coadiuvante nel trattamento delle malattie esantematiche dei bimbi, dei disturbi della pelle, esternamente per lavaggi e spugnature per curare ferite, cicatrici, foruncoli, micosi.

Alla sera metti a bagno 5 g di corteccia di salice bianco ben contusa in 300 ml di acqua fredda. Alla mattina porta ad ebollizione, lascia sobbollire lentamente per 5 minuti e filtra dopo un’ulteriore infusione di 10 minuti. Bevi a tazzine lontana dai pasti, anche fredda.

Se risultasse irritante per lo stomaco usa un “macerato freddo”, porta il tempo di infusione fredda ad almeno 12 ore, poi riscalda (non oltre 45°C) e filtra.

*le indicazioni sono generiche, per curarti con estratti di piante medicinali, sia in acuto, sia nei disturbi cronici, consulta un professionista.

Autrice: Karin Mecozzi, erborista diplomata all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, formazione in, osservazione goetheanistica della natura, agricoltura biodinamica, naturopatia antroposofica. Raccoglitrice e coltivatrice, insegna erboristeria in corsi e seminari. Pubblica articoli in italiano, tedesco e inglese. Autrice di “Ars herbaria, piante medicinali nel respiro dell’anno” e “Verde resilienza, erboristeria pratica nel cambiamento” (Natura e Cultura Editrice), “Ars herbaria, Heilpflanzen im Jahreslauf” (Verlag am Goetheanum). Per contatti: karin.mecozzi@gmail.com – www.karinmecozzi.com


[1] Pflanzen der Kelten, W.D. Storl, AT Verlag, 2015

[2] Praxis Heilpflanzenkunde, Bühring Ursel et al., 2016, Thieme Verlag

[3] Piante medicinali, Volume II, Wilhelm Pelikan,, Editrice Natura e Cultura, Savona.

Pillole di erboristeria e paesaggio: l’albero del pane, il castagno (Castanea sativa L.)

Oggi ti parlo brevemente di un albero deciduo che mi sta particolarmente a cuore. Vorrei offrirti dei cenni, invitarti ad uno sguardo d’insieme: cercalo nei boschi, l’essere maestoso dalle “parole” mormorate a chi ascolta. Approfondisci la botanica dell’albero, con osservazioni tue, come albero longevo offre l’occasione di interessanti scoperte!

Noto come “albero del pane”, il castagno (Castanea sativa L.) è sacro a Giove ed è sua la segnatura predominante, insieme al Sole. Selezionato nel corso dei millenni, fino ad ottenere i grandi frutti che conosciamo oggi, i marroni, ricopriva un ruolo importante nell’economia rurale italiana fino a qualche decennio fa. La farina dei frutti, se ancora la conosci, è buona e salutare!

Spesso, nelle raffigurazioni mitologiche compare l’intero albero, verde e possente, con le foglie dirette verso la luce e la corteccia piena di scanalature e venature. E’ uno degli alberi contenuti nel cosiddetto “calendario celtico”, ha origini preistoriche e il polline fu ritrovato in Anatolia, in Grecia…. I frutti, acheni lisci e scuri, rappresentano nella simbologia dell’araldica le virtù nascoste dell’uomo, come la tenacia, la resistenza, la resilienza come diciamo oggi.

L’albero appartiene alla grande famiglia delle Fagaceae e viene coltivato nei climi miti, nei luoghi ricchi di storie di raccoglitori e boscaioli, falegnami e commercianti. Più raramente, si incontrano specie inselvatichite dai frutti più piccoli, pur sempre gustosi. La corteccia degli esemplari più vecchi, pieni di cavità, è un nascondiglio ideale per scoiattoli e gufi, picchi e lepri. Il castagno è amico degli animali e dell’uomo ed elargisce ogni anno i suoi frutti lucenti, protetti dal pericoloso involucro spinoso. Da novembre in poi, con le castagne e i marroni maturi si ottengono gustose ricette e una farina ricca di proteine e minerali, mentre  le foglie, ricche di tannini, vengono usate in erboristeria nelle tisane, per rafforzare l’apparato respiratorio e nei disordini intestinali. 

Il castagno oggi è minacciato gravemente da malattie insidiose che stanno sterminando castagneti antichissimi in tutta Italia. La raccolta dei marroni è sempre regolamentata, e i fiori, lunghe infiorescenze ad amento profumatissime, attirano le api da lontano.

A Fonte Avellana esiste un piccolo castagneto del 1700, ormai abbandonato, con al centro un esemplare dal possente tronco.

Al corso di settembre (Le piante sacre in erboristeria e nel paesaggio) ci sederemo alla sua ombra per una lezione facendoci ispirare dalle sue forme bizzarre, le foglie come le mezzelune e le infruttescenze verso la maturazione. Grazie, grande Castagno!

Disinfetta, sfiamma e distende: CAMOMILLA

ph. Christoph Simonis

In primavera, lungo sentieri e campi di grano, fioriscono luminosi i piccoli cespi di camomilla. Per distinguere la pianta da altre specie, apri un capolino: la camomilla officinale (Matricaria camomilla L.) contiene una piccola bolla d’aria! L’intera pianta emana un forte profumo, aromatico  e tipico. La camomilla, della famiglia delle Asteraceae, è “sulfurea”e anche un po’ lunare, disinfetta e sfiamma allo stesso tempo, mette a posto laddove processi di decomposizione vorrebbero prendere il sopravvento. Contiene flavonoidi (quercetina), lattoni (matricina) e un olio essenziale prezioso dal bel colore blu (camazulene). I fiori freschi ed essiccati hanno un’azione calmante e sono usati in infusi e tintur contro coliche e spasmi addominali. La pianta si rivolge sia alla sfera del ricambio, sia al sistema nervoso, agendo anche sulla pelle, nostro grande organo emuntore. Per via esterna, l’impacco con l’infuso lenisce punture di insetti e piccole lesioni, eritemi e eczemi. L’oleolito (estratto oleoso) e l’olio essenziale di camomilla diluito in un solvente (olio di jojoba, ad esempio) sono indicati per aiutare la cicatrizzazione di ferite e ustioni.e l’unguento (oleolito + cera d’api).

Per preparare l’oleolito si raccolgono i capolini appena schiusi nel tempo balsamico, si lasciano riposare brevemente stesi su fogli di carta o teli di cotone e si mettono a macerare con olio di oliva.  A 20 ml di oleolito di camomilla, aggiungi 1 goccia del prezioso olio essenziale e 2 gocce di olio essenziale di lavanda officinale. E’ un “rimedio da pronto soccorso” per improvvisi mal di testa, mal d’orecchie e nevralgie.

Matricaria recutita

Beruhigt, hemmt Entzündungen: ECHTE KAMILLE

Im Frühjahr keimen an Weg- und Feldrändern viele verschiedene Kamillenarten: die Blütenköpfchen der echten Kamille (Matricaria chamomilla L.) enthalten eine winzige Luftblase! Die Kamille ist eine „Schwefelpflanze“, wirkt keimtötend, entzündungshemmend, räumt auf, wo Gärprozesse Überhand nehmen wollen. Sie hat ihre Entsprechung zum Darm, dem Stoffwechsel und dem Nervensystem. Aus den getrockneten Blüten stellt man einen beruhigenden Tee und eine Tinktur gegen Bauchkrämpfe und Regelbeschwerden her. Mit lauwarmem Kamillentee behandelt man Insektenstiche und kleine Wunden. Aus 20 g angetrockneten Blüten und 300 ml nativem Olivenöl wird ein duftender Ölauszug zubereitet. Man lässt ihn 3 Wochen lang im Warmen stehen und filtert. Hilft äußerlich bei Ohrenschmerzen und Zahnungsbeschwerden der Kleinkinder. Auf 20 ml Ölauszug gibt man 1 Tropfen des ätherischen Kamillenöls (blau!), um Muskelverspannungen im Nacken- und Schulterbereich sanft zu lösen.

 

ph. Christoph Simonis
Matricaria chamomilla L. Foto Christoph Simonis

Rosmarin – Rhops myrinus, der balsamhaltige Strauch

*Um uns einen Eindruck des Wesens einer Heil- und Gewürzpflanze zu verschaffen, ist es hilfreich, sie zunächst in ihrer natürlichen Umgebung zu betrachten. Wir möchten den Rosmarin (Salvia rosmarinus Schleid, ehemals Rosmarinus officinalis L.) kennenlernen und begeben uns auf eine Reise in den Süden, ans Mittelmeer, bis in das undurchdringliche Dickicht der mediterranen Macchia an den Küstenregionen. Dort erkämpfen sich immergrüne, ausdauernde Sträucher und kleine Bäume ihren Platz an der heißen Mittelmeersonne, versenken ihre Wurzeln in sandige, oft salzige Böden, trotzen Winterstürmen und langen Dürreperioden. Ginster, stachelige Wacholderbüsche, schneeweißblühende Myrtenbäumchen spenden kleineren Arten wie Stranddisteln, Meerfenchel, Immortelle, Heiligenkraut und Zistrosen etwas Schatten. Wo der Tau nachts den kargen Boden benetzt, trauen sich auch wilde Ringelblumen, Ferkelkraut, Natternkopf, Thymian und rosafarbene Winden ans Licht. Mitten in dieser etwas rauen, widerstandsfähigen Pflanzengemeinschaf wächst der Rosmarin. Er bringt den Typus der Lippenblütler (Lamiaceae) auf seine eigene Weise zum Ausdruck, nämlich als immergrüner, bis zu zwei Metern hoher Strauch. Er unterscheidet sich stark von den Mitgliedern seiner Familie, denn vom krautigen, frischen Grün (Gundermann, Basilikum), der zierlichen Form der Blätter (Melisse, Gamander) oder der Vorliebe für satte Ackerböden (bei vielen Minzenarten), ist beim Rosmarin nichts mehr zu sehen: von Grund auf verholzen Stamm und Äste, seine Blätter sind spitzig wie Nadeln, er gedeiht fast ohne Regen und im Alter sieht manches Rosmarinexemplar aus wie ein richtiger Baum.

ph. kneipp.de

Auf Spaziergängen an der Mittelmeerküste, von Portugal über Italien und Griechenland bis in die Türkei, entdeckt man ihn wildwachsend: etwas verstaubt nach einem langen Sommer, mit silbernen Spinnweben in den sparrigen Ästen, eigentlich eher unscheinbar. Beim genaueren Hinsehen entdeckt man jedoch die Besonderheiten dieses Gewächses: seine kerzengeraden, belaubten Zweige, wie von tausend lanzettlichen Nadeln übersät, der aufrechte Wuchs in Richtung Sonne, in den lichtblauen Mittelmeerhimmel hinein. Mit Nadelbäumen hat der Rosmarin tatsächlich einige wertvolle Wirkstoffe gemeinsam, die auch in seinem aromatisch duftenden ätherischen Öl enthalten sind. Die Unterseite der Blätter ist weißlich grün und fein behaar, die Oberfläche mit einer wasserabweisenden Wachsschicht überzogen. Ätherisches Öl, Behaarung und Wachsschicht helfen, die Wasserverdunstung einzudämmen und Temperaturschwankungen leichter zu ertragen.

Im März und im September, also zweimal im Jahr, bilden sich himmelblaue bis rosarote Lippenblüten in den Blattachseln. Sie locken viele Bienen an, und der hellgelbe Rosmarinhonig, von leicht bitterem Geschmack, tut der Leber gut.

Das ätherische Rosmarinöl ist ein Vielstoffgemisch, das die immergrünen Blätter, Blüten und junge Zweige wie eine unsichtbare, duftende Hülle umgibt. Es gibt beim Rosmarin verschiedene Chemotypen, je nach Herkunftsland, die dem ätherischen Öl eine besondere Duftnote und Heilwirkung verleihen: Rosmarin Cineol, Rosmarin Borneon und Rosmarin Verbenon. Der Cineol-Typ wächst hauptsächlich in Marokko und Tunesien, der Borneon-Typ in Spanien und der Verbenon-Typ in Frankreich und auf Korsika vor.

Als „rhops myrinus“, balsamhaltiger Strauch, wurde er im alten Griechenland zum Räuchern am Totenbett verwendet, und bei den alten Römern hieß er „ros marinus“, Tau des Meeres. Geschichtlich gesehen gehört der Lippenblütler zu den ältesten heiligen Pflanzen. Lange bevor man ihn medizinisch verwendete, galt er als symbolische Pflanze und Mittel für Rituale, die mit Tod und Geburt, Hochzeit und Kultus zu tun hatten. In den verschiedensten Mythologien wird der Rosmarin mit dem Gedächtnis, dem Erinnerungsvermögen in Verbindung gesetzt: auf Darstellungen halten die Töchter der Mnemosyne, die Musen, einen Rosmarinzweig in der Hand, im alten Rom legte man den Verstorbenen ein Rosmarinsträusschen ins Grab, zum Zeichen ewiger Erinnerung. Interessant ist, dass Rosmarinextrakte nach neuesten Forschungen Freie Radikale hemmen und sich positiv auf Hirntätigkeit auswirken. Sie sollen vor Alzheimer schützen und Alterserscheinungen vorbeugen, unter anderem auch den Verlust des Kurzzeitgedächtnisses.

Das Erinnerungsvermögen, eine gute Konzentration und starke Nerven stehen für Vitalität, der Rosmarin galt bei den Ägyptern als Quelle unversiegbarer Lebenskraft. Bis ins Mittelalter sammelte und trocknete man ihn, um ansteckende Krankheiten fernzuhalten und verwendete die Zweige als immergrünen Weihnachtsschmuck. Das berühmte Ungarische Königswasser, „Aqua reginae Hungariae“, gab der gichtgeplagten ungarischen Königin Lebensfreude und Gesundheit zurück, und traditionelle Auszüge in Wein, Weingeist, Essig, Honigbier fehlten in keinem Haushalt.

Laut einer Überlieferung aus dem 16. Jahrhundert trieben in Toulouse vier Räuber ihr Unwesen in den Häusern reicher Pestkranker. Schießlich wurden sie auf frischer Tat ertappt und vor Gericht geschleppt. Um dem Henker zu entgehen, sollten sie das Geheimnis preisgeben, das sie vor der Ansteckung mit der schrecklichen Krankheit bewahrt hatte. So zählten sie die Zutaten des würzigen Essigtrankes auf, mit dem sie sich täglich eingerieben hatten, mit dem „Pestessig“ oder „Vierräuberessig“:

 Vinaigre des quatre voleurs – Vierräuber-Essig

Je einen Esslöffel folgender getrockneter Kräuter gut vermischen und gut mörsern: Blätter von Rosmarin, Salbei, Thymian, Lorbeer, ebenso viele Gewürznelken, eine Zimtstange, Kümmel- oder Fenchelfrüchte und Wacholderbeeren. Mit natürlichem Apfelessig übergießen und verschlossen an einem warmen, dunklen Ort ziehen lassen, öfters schütteln. Nach 4 Wochen leicht erwärmen, abseihen, in Braunglasflaschen füllen, in einem Jahr aufbrauchen.

Als vorbeugendes Grippemittel ist dieser aromatische, alkoholfreie Auszug auch heute zu empfehlen: in der kalten Jahreszeit morgens und abends zwei Teelöffel in etwas warmem Honigwasser auflösen und schluckweise trinken. Hilft bei Grippesymptomen, Kopfschmerzen, Durchfall, auch mehrmals täglich eingenommen. Verdünnt ist er auch für Kinder und ältere Menschen geeignet Äußerlich verwendet wirkt der „Spitzbubenessig“, wie er auch genannt wird, desinfizierend und reinigend, gegen Übelkeit und Müdigkeit und als exzellentes Gurgelwasser bei Zahnfleischbluten, Aphten und Halsschmerzen.

Der Rosmarin in der modernen Phytotherapie

Als heilsame Teile gelten in der heutigen Pflanzenheilkunde die Blätter, die Knospen, die blühenden Sprosse und das ätherische Öl des Rosmarins. Seine rhythmisch angeordneten, aromatischen Blätter enthalten neben dem terpenreichen, ätherischen Öl auch Flavonoide, Phenolsäuren, Gerbstoffe, Bitterstoffe, Saponine, Ascorbinsäure. Als Extrakte werden Tinkturen, Sirupe, Gemmomazerate, Ölmazerate und Trockenextrakte hergestellt, und die Droge (Rosmarini foliae) gibt es getrocknet als Tee zur inneren und äußeren Anwendung.

Bei der Dampfdestillierung der blühenden Sprossspitzen erhält man das reine ätherische Rosmarinöl. Als Nebenprodukt entsteht Rosmarinhydrolat, also destilliertes Wasser, das wirksame Substanzen in hoher Verdünnung und etwas ätherisches Öl enthält. Es ist ein herrlich erfrischendes Kosmetikum für Haut und Haar und macht als Spray im Sommer putzmunter.

Rosmarintee ist für besonders für Menschen in der Lebensmitte geeignet, die morgens schlecht aus dem Bett kommen, über schmerzende Beine und Rücken klagen, nicht gut verdauen und öfters Kopfschmerzen haben. Dahinter können funktionelle Leber-, Gallen- und Magenbeschwerden stecken, die auf Stress, schlechte Ernährung, chronische Entzündungen und unzureichender Bewegung zurückzuführen sind. Zum Aufwachen wirkt der heiße Rosmarin-Infus morgens besser als schwarzer Kaffee oder Tee, er regt den Kreislauf und das Lymphsystem an, stärkt die Nerven und öffnet unsere Sinne für die Außenwelt. Für eine große Tasse Tee brüht man einen Esslöffel getrocknete Rosmarinblätter mit 300 ml kochendem Wasser auf und lässt 10 Minuten ziehen.

Um die anregende Wirkung zu unterstützen, massiert man Beine und Arme mit Rosmarinhydrolat oder – besonders im Winter – mit duftendem Rosmarinöl, das man leicht selbst herstellen kann: 30 Tropfen ätherisches Rosmarinöl werden mit 100 ml warmem Sesamöl oder Mandelöl vermischt und gut verschüttelt. Der wärmende, anregende Effekt des Krautes lässt nicht auf sich warten, man fühlt sich gleich viel „aufrechter“.

Der Rosmarin stellt uns in schwierigen Zeiten wieder auf die Beine, und in der anthroposophischen Medizin gilt er als Heilmittel, das das Ich unterstützt, wie die strahlende, wärmende Sonne an einem Hochsommertag. Als Lippenblütler ist er eine typische Pflanze der Mitte, die zwischen Oben und Unten, Kosmos und Erde vermittelt und für das richtige Gleichgewicht zwischen Herz und Verstand sorgt. Denn diese robuste Pflanze richtet sich sowohl an das Blut, Kreislauf und Herz, als auch an das Nervensystem. Dabei spielt sicher auch der „blutreinigende“, entgiftende Effekt eine Rolle: nach der traditionellen Medizin, auch nach der traditionellen chinesischen Heilkunde, wirkt sich eine schlecht arbeitende Leber ungünstig auf das Blut und den Kreislauf aus, trübt die Sinne, macht müde und reizbar.  

Daher empfehle ich besonders im Frühjahr, wenn der Organismus aus dem „Winterschlaf“ erwacht und frische Energie benötigt, eine Rosmarinkur mit der Einnahme einer hochwertigen Rosmarintinktur, Massagen (siehe oben) und der Verwendung von getrocknetem Rosmarin anstatt Salz in der täglichen Küche. Rosmarinextrakte senden stimulierende Impulse an alle Verdauungsorgane aus, feuern den Stoffwechsel an, trocknen überschüssige Feuchtigkeit (Schleim, Katarrh, Pilzkrankheiten) aus. Bei Magenbeschwerden reicht oft eine Tasse Rosmarintee, allerdings sollte man sicher sein, nicht unter Gallensteinen zu leiden, dann wäre Rosmarin als gallentreibendes Kraut falsch am Platz.ür ältere Menschen sind kalte Füße oft ein unangenehmes Leiden. Ansteigende Fußbäder mit starkem Rosmarintee oder Armbäder regen den Kreislauf an, unterstützen die Herztätigkeit und verbessern sogar die Beweglichkeit. Rosmarinauszüge werden mit Erfolg bei Krankheiten des Bewegungsapparates, bei Arthrose, Gicht und Rheuma eingesetzt, äußerlich massiert man mit Rosmarinöl- oder Salbe.

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Wer nördlich der Alpen ein sonniges Plätzchen auf dem Balkon oder im Garten hat, kann seinen eigenen Rosmarinstrauch ziehen und frische Blättchen zum Würzen und für Tees ernten. Im Winter sollte man ihn nicht arg frieren lassen, denn als mediterrane Pflanze verträgt er Minusgrade sehr schlecht. Am besten zieht man ihn in einen großen Kübel und lässt ihn im Hauseingang überwintern.

Zum Schluss noch ein Rezept aus der römischen Küche, in der Rosmarin, wie auch seine Verwandten Oregano, Basilikum, Thymian, Majoran und Salbei nie fehlen darf.

Überbackener Fenchel mit Rosmarin

4 Fenchelknollen

1 Teetasse geriebener Parmesankäse

2 Esslöffel getrocknete Rosmarinblätter

Geriebene Schale einer Orange, etwas Muskatnuss

Schwarze Oliven, Chillyöl, Olivenöl

1 feingehackte Knoblauchzehe

Fenchelknollen vierteln, gut waschen, in wenig Salzwasser bissfest kochen. In eine Auflaufform geben, Oliven, geriebene Orangenschale, Muskatnuss, Rosmarin, Knoblauch und ein paar Tropfen Chillyöl dazugeben, mit Olivenöl beträufeln und Parmesankäse darüber streuen. Bei 180 Grad im Ofen backen, bis der Käse hellbraun brutzelt.  Passt hervorragend zu Risotto, Hühnchen oder Fisch.

Karin Mecozzi Dipl. Herboristin

*Der Artikel erscheint als “Heilpflanzenporträt” in der Juniausgabe des Ernährungsrundbriefs, Arbeitskreis für Ernährungsforschung, Bad Vilbel (D)

Melisse im Garten anpflanzen

Aus meinem Artikel “Herzbrot, Immenblatt und Nervennessel: die Echte Melisse” erschienen in ERNÄHRUNGSRUNDSCHAU 4/2018

Wer Melisse für z.B. für selbstgemachte Hausteemischungen anpflanzen möchte, kann sie entweder aus Stecklingen ziehen, oder die Samen gesunder, starker Mutterpflanzen sammeln. Melissensamen sind wie bei vielen Lippenblütlern sogenannte Klausen, also kleine, ölhaltige Nüsschen. Man schneidet die Blütenstände und streift die Samen von den Stängeln ab, trocknet sie nach und bewahrt sie an einem trockenen, kühlen Ort auf. Man kann sie am Februar im Wintergarten vorziehen oder im Juni direkt aussäen.

Melissa officinalis Demeter April 2020

Melissa officinalis liebt stickstoff-und lehmreiche und dennoch nicht zu schwere Böden und gedeiht an sonnigen, windgeschützten Stellen. Im Hausgarten bildet sie schöne, kugelförmige Stauden, zieht Bienen und Schmetterlinge an und hält Stechmücken und Fliegen fern. Sie verträgt sich im Gemüsegarten sogar mit Nachtschattengewächsen (Tomaten, Peperoni, Auberginen) und hilft, Pilzkrankheiten zu vermeiden.

Bis zum Sommerende kann man Blätter und Blüten mehrmals ernten, nach dem Rückschneiden wächst das Kraut wieder nach. Als lebhaftes Pflänzchen findet man es in allen Nachbarbeeten wieder, denn durch die kräftigen unterirdischen Ausläufer verbreiten sich Melissen leicht. Beim Ernten heißt es, auf fleckige Blätter zu achten, ein Hinweis auf die Blattfleckenkrankheit. Auch Rost und Mehltau könnten die Heilpflanze befallen, doch im Allgemeinen ist sie ziemlich robust und trotzt Schädlingen.

Als Kübelpflanze gedeiht die Melisse gut und sieht schön aus. Auch in der Stadt, auf dem Balkon oder der Terrasse, kann man frische Blättchen zum Würzen und für Tee entnehmen.

Wer die Melisse auf einer sehr sonnigen Terrasse zieht, sollte die Kübel regelmäßig auf Ameisen untersuchen: die wärmeliebenden Insekten bauen ihre Nester gerne unter duftenden den Stauden! Setzen Sie kleinblättrigen Basilikum, Indianernessel, Ananassalbei, Pfefferminze und Thymian daneben, als Lippenblütler harmonieren die Kräuter gut miteinander und geben eine wunderbare Teemischung, auch auf einem kleinen Balkon.

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“Aromi a portata di mano”: il peperoncino, aroma del cuore

Capsici annui fructus

->Una pianta aromatica al mese: uso e coltivazione, in cucina, caratteristiche in erboristeria e fitoterapia.

Cristoforo Colombo portò i semi di peperoncino (Capsicum annuum L.) dall’America, insieme ad altre specie delle Solanaceae, come le patate, i pomodori, i peperoni, le melanzane. Si contano moltissime varietà di peperoncino, spesso locali, da coltivare anche sul davanzale o sul terrazzo, scegliendo del buon terriccio e un’esposizione soleggiata. Si semina a marzo. Le giovani piantine vengono diradate lasciando uno spazio di almeno 40 cm. A fine estate maturano i frutti allungati, le bacche di colore verde brillante, poi rosso vivace.

Si raccolgono con la luna nuova in giorni di Frutti/Calore (Calendario lunare biodinamico) e si essiccano interi, all’ombra, infilandoli con dello spago di cotone. Il peperoncino fresco ha un gusto fruttato, la droga secca risulta più piccante e si conserva un anno. Nella mia famiglia romana non mancavano le coroncine di peperoncino appese in cucina e l’olio di peperoncino in tavola, tutti i giorni.

USO ERBORISTICO: Per appassionati di erboristeria tradizionale, una ricetta semplice da eseguire ed efficace nell’applicazione pratica: estratto oleoso al Capsicum. Ricetta della tradizione erboristica: “Oleolito composto al peperoncino”

**Oleolito di alloro (Laurus nobilis L.) 100 ml

**Oleolito di iperico (Hypericum perforatum L.) 20 ml

**Oleolito di peperoncino (Capsicum annuum L.) 5 ml

**Olio essenziale di Limone, Arancio dolce, Rosmarino.

Preparazione: versa gli oleoliti e l’estratto di peperoncino in un recipiente di vetro infrangibile, mettilo a bagno maria (misura le temperatura, non deve superare 40 gradi) e mescola in senso orario per 3 minuti. Aggiungi 5 gocce di ciascun olio essenziale e mescola per un altro minuto. Trasferisci la miscela in una bottiglietta di vetro scuro, etichetta e conserva al buio, lontano da fonti di calore. L’oleolito composto serve a massaggiare muscoli indolenziti, articolazioni doloranti (non in infiammazione acuta), irritazioni nervose (sciatica), tendiniti croniche (tendine di achille), mani e piedi soggetti a geloni. La miscela non è adatta ai bambini. La dose di estratto di peperoncino può essere variata, se ne aggiungi, aumenti il potere rubefacente del rimedio: attenzione, è irritante per gli occhi!

Consumare regolarmente del peperoncino è un’ottima abitudine: favorisce la digestione, migliora la circolazione sanguigna e protegge il cuore (antiossidante eccellente), ha proprietà antibiotiche ed  immunostimolanti. E’ adatto a insaporire pietanze nella dieta iposodica, dona un tocco speciale perfino ai dessert al cioccolato fondente e ai gelati.

testo Karin Mecozzi – immagini dal web