Tra le conifere della nostra penisola, un alberello dalla chioma compatta e impenetrabile dà l’impressione di sapersi difendere molto bene: il ginepro (Juniperus communis L.) della famiglia delle Cupressaceae. Come pianta pioniera colonizza campi e pascoli abbandonati e se ne sta volentieri da solo, a giusta distanza dalle altre piante. Non è maestoso come l’abete bianco o il pino marittimo e non forma veri e propri boschi come molte altre conifere. In Italia, il ginepro comune raggiunge un’altezza massima di 3-4 metri e un diametro di 2 metri circa. Gli uomini evitano di toccarlo per i suoi aghi appuntiti, mentre gli animali selvatici si avvicinano senza paura: in primavera per rosicchiare le giovani gemme verdi ed in autunno e inverno per le gustose galbule, i frutti tondi, blu scuri con i grossi semi, ricchi di oli essenziale e oli grassi.
Dalle Alpi alla Sicilia troviamo diverse specie di ginepro, secondo il clima e il terreno: il ginepro comune, Juniperus communis, è largamente diffuso ed è una pianta protetta in molte regioni. Il suo legno si forma lentamente ed è ricercato per la sua solidità. Il ginepro rosso detto anche appeggi (Juniperus oxycedrus) ha una chioma più larga ed estesa e grandi galbule rosse, dalle quali un tempo si distillava una resina curativa per i reumatismi. Alcune specie di ginepro contengono principi velenosi. Il ginepro sabina (Juniperus sabina) cresce sui pendii pietrosi dell’Appennino, ha foglie aghiformi e squamiformi e grossi frutti (coccole) blu; l’intero albero è impregnato da sostanze tossiche. Anche il ginepro fenicio (Juniperus foenicea), molto diffuso nelle garighe del Mediterraneo, è velenoso. Viene piantato nei giardini mediterranei per la sua resistenza alla siccità, mentre dai rami e dal legno si estrae la resina di Sandracca, una lacca naturale utilizzata dai restauratori di mobili.
Il ginepro comune preferisce luoghi asciutti e ventosi. A volte vediamo ginepri che crescono piegati esattamente nella direzione del vento che soffia più frequentemente nella zona. Ha la corteccia grigia che si desquama con l’età e, come detto, un legno molto duro. In un oratorio di Urbino, fino a poco tempo fa, si poteva ammirare un grande crocifisso del ‘300 (purtroppo è stato rubato) costruito con il legno dei ginepri che ricoprono ancora oggi i vicini Monti della Cesana.
Le foglie del ginepro sono aghi piatti o trigoni, rigidi e sempreverdi, con una nervatura centrale bianca, e diffondono un profumo delicato quando fa molto caldo. Si raccolgono in estate, in giorni di Luce o Calore, per preparare un oleolito decongestionante per le gambe e per pediluvi rinfrescanti. I frutti, le galbule blu, maturano in autunno e si possono raccogliere tutto l’anno. In inverno il loro gusto aromatico si sposa benissimo con i piatti tipici della stagione: stufati di carne e patate, arrosti e zuppe. I semi di ginepro vengono diffusi grazie agli animali che mangiano le galbule: caprioli, volpi, tordi e colombe che li trasportano lontano. Dopo un anno di riposo nella terra spuntano le pianticelle nella macchia e nei campi. Non è facile riprodurre il ginepro dai semi, sono necessari trattamenti particolari, dispendiosi. Per imparare a coltivarlo e conoscere tecniche e metodi della coltivazione arborea mediterranea si trovano informazioni interessanti nel manuale ANPA*
*“Propagazione per semi di alberi e arbusti della flora mediterranea”, edito da Beti Piotto e Anna Di Noi per l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA, Roma, 2001).
Nella mitologia antica il ginepro è sempre stato collegato alle esperienze di soglia e alla morte. La chioma color verde azzurrognolo e le galbule sono rappresentate nei dipinti medievali e compaiono come sfondo alle attività dei nobili nelle loro corti. Considerato una pianta protettiva contro insidie e malattie, se ne appendevano i rametti sempreverdi sull’uscio per evitare il contagio con la peste. Ogni anno, alla fine dell’estate, quando le vacche tornavano dall’alpeggio, si disinfettava la stalla bruciandovi grossi rami di ginepro.
L’elevato contenuto di oli essenziali conferisce all’albero un’elevata azione disinfettante, antibiotica e antimicrobica. Ne sono ricche soprattutto le galbule, che contengono inoltre principi amari, tannini, resine, glucidi e antociani. Si usano per suffumigi e pediluvi, contro la tosse, la febbre e il mal di testa nell’influenza, ma anche per le proprietà digestive e aperitive. Si possono raccogliere tutto l’inverno ed essiccare vicino a una fonte di calore. Per un decotto digestivo e corroborante trituriamo 10 galbule secche e le copriamo con acqua bollente per cinque minuti.
I bagni con l’estratto di ginepro e di prugnolo aiutano i bambini deboli a riprendere forze a fine inverno. L’olio essenziale di ginepro rientra in una miscela aromatica antinfluenzale che preparo ogni inverno, insieme all’olio essenziale di pino mugo, pino cembro e arancio dolce. Per godere dell’effetto balsamico e del buon profumo sono sufficienti poche gocce nel diffusore e negli umidificatori dei termosifoni.
L’azione diuretica e depurativa delle galbule è consigliata alle donne che desiderano ridurre i segni della cellulite e agli uomini per aumentare la diuresi e drenare e fortificare la prostata. Gli estratti di ginepro non debbono essere usati per via interna se si soffre di calcoli renali, perché possono essere irritanti per i reni.
Ricordo che possiamo avvalerci degli effetti benefici del ginepro – come di molte altre piante aromatiche ricche di oli essenziali – anche in cucina.
Le giovani gemme primaverili sono gradevolmente acidule e possono essere tritate finemente insieme al prezzemolo e al rosmarino fresco per insaporire verdure stufate, patate lesse, carne o pesce arrosto. Le galbule essiccate hanno un sapore intenso, si pestano nel mortaio prima dell’uso e si aggiungono a zuppe di legumi e farro, alla zucca al forno e ai crauti acidi. Il ginepro “apre lo stomaco”, favorisce la digestione dei grassi e l’assimilazione di alcuni oligoelementi, conferendo una nota speciale alle ricette invernali.
Da “ARS HERBARIA – PIANTE MEDICINALI NEL RESPIRO DELL’ANNO”
Karin Mecozzi
edito da Natura e Cultura Editrice 2012